La confisca di prevenzione non può prescindere dall’accertamento effettivo della pericolosità generica. La Corte D’Appello di Perugia si sofferma ad analizzare i requisiti per l’applicazione delle misure di prevenzione e ribadisce ciò che – almeno in teoria – in uno stato democratico dovrebbe essere ovvio.
La Corte d’Appello di Perugia, con la pronuncia in esame, ha inteso rimarcare come l’accertamento della pericolosità “generica” del proposto, sia preliminare ed assorbente rispetto alle valutazioni circa la sussistenza dei requisiti oggettivi per la confiscabilità dei beni.
La vicenda in esame ha preso vita tra il novembre del 2018 e il maggio del 2019, allorquando la persona interessata veniva attinta da due provvedimenti, emessi dal Tribunale di Perugia, con cui veniva disposto, dapprima, il sequestro e, successivamente, la confisca di prevenzione.
Il Tribunale riteneva, infatti, sussistente il requisito previsto dall’art. 1 lett. b) del D.Lvo n. 159/2011trattandosi di soggetto che doveva ritenersi vivere abitualmente, anche in parte, con proventi di attività illecite.
Inoltre, il Tribunale riteneva che il presupposto per l’adozione delle misure ablative emergesse dal curriculum vitae del prevenuto in un periodo di tempo ricompreso tra il 2011 e il 2014. Periodo, peraltro, nel quale lo stesso era stato imputato in due procedimenti penali. In poche parole, l’autorità giudiziaria aveva ritenuto che tale periodo fosse già significativo ai fini dell’applicazione delle misure di prevenzione, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e che, peraltro, i procedimenti in corso delineassero di per sé stessi, il disvalore personale del preposto. Avverso il provvedimento del Tribunale di Perugia, proponeva gravame davanti alla Corte d’Appello di Perugia, lamentando in prima battuta la violazione degli artt. 1 e 4 Dlvo 159/2011, poiché sarebbero stati insussistenti gli elementi idonei a dimostrare l’appartenenza del preposto alla categoria dei soggetti che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose. Più segnatamente, sottolineava l’appellante che, ai fini della confisca, avrebbe dovuto assumere rilievo l’elemento dell’abitualità del vivere con proventi delittuosi, presupposto che, data la ristrettezza del periodo di interesse, sarebbe stato del tutto assente. Con un secondo motivo, il difensore, lamentava la violazione dell’art. 24 c.1 D.Lvo 159/2011 stante l’assenza di correlazione temporale tra il periodo di manifestazione della pericolosità e l’acquisto da parte del preposto dei beni e titolarità oggetto della confisca. La Corte d’Appello di Perugia ha ritenuto assorbente il primo motivo, riguardante il requisito soggettivo richiesto ex art. 1 lett. B) D.Lvo 159/2011. Anzitutto, la Corte rilevava come i procedimenti penali pendenti in capo al preposto, stante l’assenza di sentenze definitive, non avrebbero potuto condurre ad un giudizio di pericolosità sociale, così come non avrebbero potuto delineare un arco temporale apprezzabile al fine di valutare l’abitualità nel vivere con proventi frutto di attività delittuose. La Corte, – ricordando importanti decisioni della Suprema corte (SU nr. 4880/2015, secondo cui il presupposto ineludibile della misura di prevenzione patrimoniale dovrebbe consistere nella pericolosità del soggetto inciso, ossia la riconducibilità dello stesso ad una delle categorie soggettive previste dalla norma di settore), ribadisce come per la confisca di prevenzione debba sussistere il duplice presupposto della condizione soggettiva di pericolosità e delle correlate modalità di accumulazione patrimoniale. In secondo luogo, viene richiamata la sentenza della Corte Costituzionale nr.24/2019: ai fini della valutazione della legittimità delle misure di prevenzione patrimoniale, devono accertarsi tre requisiti fondamentali, ossia 1) che il preposto possa ritenersi autore di delitti commessi abitualmente e, dunque, in un significativo arco temporale; 2) che gli stessi abbiano effettivamente generato profitto in capo al predetto; 3) che gli stessi siano stati l’unico reddito del soggetto o ne abbiano costituito una buona parte.
La Corte d’appello di Perugia – in ossequio a tali principi – ha ritenuto di revocare il provvedimento emesso dal Tribunale. La Corte d’Appello di Perugia ha, correttamente, rimarcato una serie di principi che, in tema di misure di prevenzione, stante il carattere afflittivo che esse comportano, dovrebbero essere impliciti nella normativa d’interesse. Tuttavia, sempre più di sovente, non vengono tenuti in debita considerazione con conseguenti violazioni dei basilari diritti delle persone, così come garantivi non solo a livello nazionale, ma anche internazionale.